Le rigide regole che disciplinano l’accesso alla pensione in Italia generano spesso confusione e incertezza tra i lavoratori prossimi alla fine della carriera. Tuttavia, due recenti sentenze della Corte di Cassazione potrebbero rappresentare una svolta significativa, allentando alcuni dei vincoli che ostacolano l’uscita anticipata dal mondo del lavoro.
Le sentenze della Cassazione che cambiano le carte in tavola
Nel 2024, la Corte di Cassazione si è espressa due volte in modo rilevante sul tema delle pensioni. La sentenza n. 24916 ha riguardato la pensione anticipata ordinaria, mentre la sentenza n. 24950 si è concentrata sull’accesso all’APE Sociale da parte dei disoccupati. Entrambe le decisioni offrono una lettura più flessibile della normativa vigente, aprendo nuove possibilità per determinate categorie di lavoratori.
Nel dettaglio, le pronunce riconoscono che i vincoli esistenti, in alcuni casi, possono compromettere il diritto al sostegno previdenziale. In presenza di determinati requisiti – come i contributi effettivamente versati o la condizione di disoccupazione – l’accesso anticipato può risultare più agevole, anche in deroga a precedenti interpretazioni più rigide.
Le vie d’uscita nel 2025: le opzioni attualmente disponibili
Nel sistema pensionistico italiano, esistono diverse formule di uscita anticipata. Tra le principali:
- pensione anticipata ordinaria: accessibile senza limiti di età, ma solo con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, o 41 anni e 10 mesi per le donne;
- Quota 103: consente il pensionamento con almeno 62 anni d’età e 41 di contributi;
- APE Sociale: prevista per chi ha almeno 63 anni e 30 anni di contributi (36 per mansioni gravose), destinata a disoccupati, caregiver, invalidi e addetti a lavori usuranti;
- Opzione Donna: riservata a lavoratrici con almeno 61 anni d’età e 35 di contributi, che rientrano in specifiche categorie (caregiver, invalide o dipendenti di aziende in crisi).
Il nodo dei contributi effettivi
Uno degli ostacoli principali riguarda il requisito dei contributi effettivi, cioè realmente versati, escludendo quelli figurativi (come malattia, disoccupazione o servizio militare). Secondo la normativa, per accedere ad alcune formule anticipate, è necessario dimostrare almeno 35 anni di contributi effettivi. Questo punto è stato al centro delle pronunce della Cassazione, che hanno suggerito un’interpretazione più equa per chi ha avuto carriere frammentate o discontinue.
Le decisioni del massimo organo giurisdizionale rafforzano quindi la possibilità di ottenere un trattamento previdenziale più giusto, riducendo la rigidità normativa e riconoscendo le reali condizioni di lavoro dei cittadini.