Il 2026 potrebbe essere l’anno della svolta per la riforma pensioni. Dopo anni di deroghe, misure ponte e sperimentazioni temporanee, l’esigenza di una riforma strutturale torna al centro del dibattito. A spingere verso il cambiamento è una combinazione di fattori: la necessità di garantire sostenibilità alla spesa pubblica, le richieste di maggiore flessibilità da parte dei lavoratori, l’erosione dei trattamenti futuri dei giovani e, soprattutto, il progressivo ritorno alle regole rigide della legge Fornero.
Riforma pensioni 2026: tra flessibilità in uscita e sostenibilità economica
Uno degli obiettivi centrali del governo per il 2026 sarà riuscire a bilanciare due forze opposte: da un lato l’esigenza sociale di anticipare l’età pensionabile per alcune categorie, dall’altro il vincolo di non aumentare ulteriormente il debito pubblico e la spesa pensionistica, che già oggi rappresenta oltre il 16% del PIL.
Le opzioni sul tavolo restano le più disparate. Da Quota 41 per tutti (difficilmente sostenibile) fino a una forma di pensionamento flessibile a partire dai 63 o 64 anni con penalizzazioni proporzionali, sul modello europeo. La strada più percorribile? Una pensione anticipata legata agli anni di contributi ma con coefficienti di riduzione in base all’età anagrafica, così da scoraggiare l’uscita troppo anticipata e incentivare chi sceglie di restare al lavoro.
Il governo dovrà inoltre tenere conto delle raccomandazioni europee in termini di contenimento della spesa e riduzione del debito: ogni anno in più di lavoro comporta un risparmio stimato in miliardi per le casse dello Stato. Non è un caso che il ritorno integrale alla Fornero, che fissa l’accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni, resti sullo sfondo come garanzia di sostenibilità.
Giovani e donne: le sfide della riforma
Un’altra priorità della riforma pensioni 2026 sarà rendere il sistema più equo. I giovani, in particolare quelli con carriere discontinue e retribuzioni basse, rischiano di ricevere pensioni da fame. Per questo si valuta l’introduzione di un “zoccolo minimo” contributivo garantito, oppure meccanismi di integrazione al minimo più estesi rispetto a quelli attuali.
Le donne rappresentano un altro fronte caldo. A oggi, le carriere femminili sono spesso più brevi e meno retribuite. Il governo potrebbe valutare bonus contributivi per ogni figlio o periodi di cura, estendendo l’attuale meccanismo dell’Opzione Donna, che tuttavia comporta assegni penalizzati. Resta poi da capire come trattare i lavori gravosi e usuranti, che in ogni riforma sono candidati privilegiati per un’uscita anticipata.
Come potrebbe cambiare la pensione nel 2026
Tutte le strade portano a una sola certezza: la riforma sarà inevitabile. Non si potrà più andare avanti con soluzioni-tampone annuali come Quota 103 o APE Sociale. Sarà necessaria una legge organica, stabile, in grado di reggere negli anni e garantire certezza a chi lavora oggi e a chi andrà in pensione domani.
Il nodo sarà politico ed economico: riuscirà l’esecutivo a trovare un compromesso tra rigore e giustizia sociale, tra i conti pubblici e le aspettative dei cittadini?