Nel contesto familiare italiano, le attività di assistenza svolte tra parenti stretti sono comunemente considerate atti gratuiti, mossi da legami affettivi. Ma in alcune circostanze precise, è possibile trasformare questa assistenza in un rapporto di lavoro domestico riconosciuto legalmente dall’INPS. Vediamo quando è ammesso, quali sono i requisiti e le regole da rispettare.
Assistenza in famiglia: perché si presume gratuita?
Secondo quanto stabilito dall’art. 143 del Codice Civile, i coniugi sono tenuti a collaborare e ad assistersi reciprocamente, sia materialmente sia moralmente. Questo principio esclude, in linea generale, l’instaurarsi di un vero e proprio rapporto di lavoro all’interno del nucleo familiare, specialmente tra coniugi o parenti stretti.
Tuttavia, in presenza di particolari condizioni di disabilità grave, anche un familiare può diventare un lavoratore domestico regolare.
Quando l’INPS riconosce il lavoro domestico tra parenti
L’INPS accetta la validità di un contratto di lavoro domestico tra coniugi o parenti entro il terzo grado solo se la persona assistita presenta una grave disabilità riconosciuta ai sensi dell’art. 3 della Legge 104/1992 e percepisce indennità di accompagnamento.
Le categorie valide includono:
- ciechi civili;
- grandi invalidi di guerra, civili e militari;
- invalidi totali per cause di servizio o lavoro;
- mutilati e invalidi civili gravi.
Procedura per attivare il contratto
Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Domestico (CCNL) è l’unico valido per regolare questi rapporti. La sua attivazione richiede la comunicazione obbligatoria all’INPS entro 24 ore dall’inizio. Se si tratta di parenti, l’ente mette la pratica “in sospeso” per effettuare una verifica documentale.
Cosa controlla l’INPS:
- che esista l’invalidità grave con diritto all’accompagnamento;
- che la parentela dichiarata sia corretta;
- che le condizioni contrattuali rispettino il CCNL.
Potrebbero essere richiesti documenti aggiuntivi o accertamenti sanitari. Solo dopo l’approvazione, il rapporto lavorativo diventa valido ai fini contributivi.
Chi sono i parenti o affini entro il 3° grado?
È importante conoscere il grado di parentela per stabilire se il contratto è legittimo. Il Codice Civile (artt. 74-78) definisce così i gradi:
Parenti:
- 1° grado: genitori, figli;
- 2° grado: fratelli, nonni, nipoti (figli dei figli);
- 3° grado: zii, nipoti (figli di fratelli/sorelle);
- 4° grado: cugini.
Affini:
- 1° grado: suoceri, genero, nuora;
- 2° grado: cognati;
- 3° grado: zii del coniuge;
- 4° grado: cugini del coniuge.
Contributi INPS: cosa cambia con i parenti conviventi
L’INPS applica un regime contributivo differenziato nei rapporti tra parenti conviventi entro il 3° grado. In questi casi, non viene applicato il contributo CUAF, ovvero la quota che finanzia gli assegni per il nucleo familiare (ANF).
Perché non si applica il CUAF?
Poiché datore di lavoro e collaboratore appartengono allo stesso nucleo familiare, il lavoratore non può percepire gli ANF, che sono normalmente erogati dall’INPS direttamente ai collaboratori domestici.
Le tabelle INPS aggiornate specificano gli importi orari da versare a seconda del tipo di rapporto (convivente o non convivente), includendo le modifiche previste dalla circolare INPS n. 29/2025.