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Aumenti pensioni 2025, sono un privilegio che si può sacrificare?

La perequazione delle pensioni più alte non è un privilegio che si può sacrificare e la questione finisce alla Corte dei Costituzionale.

Gli aumenti delle pensioni bloccati per chi ha un assegno che supera di 4 volte il minimo Inps (si tratta delle pensioni che quest’anno hanno un importo che supera i 2.395 euro) potrebbe essere incostituzionale. L’argomento è stato portato all’attenzione della Corte Costituzionale che dovrà prendere una decisione al riguardo che potrebbe avere una conseguenza anche sulle rivalutazioni del prossimo anno (gennaio 2025).

Il Governo Meloni, infatti, ha disposto un blocco delle rivalutazioni delle pensioni più alte che in un biennio (2023/2024) ha portato le casse dello Stato a risparmiare 6 miliardi di euro (a spese dei pensionati).

Già in passato la Corte Costituzionale aveva dovuto sentenziare sulla legittimità dei blocchi delle rivalutazioni delle pensioni disposte dai vari Governi che avevano necessità di destinare quelle risorse economiche per coprire spese più urgenti.

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Rivalutazione della pensione, non è un lusso

La rivalutazione delle pensioni (di tutte le pensioni) permette agli assegni erogati ai pensionati di essere aggiornati all’inflazione e ai prezzi: proprio grazie alla rivalutazione, infatti, le pensioni non perdono potere di acquisto.

La Legge 448 del 1998 stabilisce che l’adeguamento al 100% sia garantito alle pensioni fino a volte il trattamento minimo, al 90% e al 75% per importi più alti.

Negli ultimi anni queste regole non sono state applicate alla lettera e il governo Meloni ha introdotto un nuovo sistema di valutazione che prevede fasce diversi e per la precisione:

  • fino a 4 volte il trattamento minimo: rivalutazione del 100%
  • oltre 4 e fino a 5 volte il minimo: rivalutazione dell’85%
  • oltre 5 e fino a 6 volte il minimo: rivalutazione del 53%
  • oltre 6 e fino a 8 volte il minimo: rivalutazione del 47%
  • oltre 8 e fino a 10 volte il minimo: rivalutazione del 37%
  • oltre 10 volte il minimo: rivalutazione del 22%.

Il nuovo sistema però, ha portato molti pensionati a percepire una rivalutazione minore rispetto a quella spettante per legge e proprio per questo un ex dirigente scolastico si è rivolte alla Corte dei Conti che ha rimandato la decisione alla Corte Costituzionale. Le nuove fasce di rivalutazione fanno passare le pensioni più alte, infatti, come sacrificabili e per questo si prevede un aumento minore di quello che stabilisce la legge.

Non è probabile che la Corte Costituzionale preveda retroattivamente che sia applicato il vecchio modo di applicare la rivalutazione perché costerebbe troppo alle casse dello Stato, ma potrebbe influenzare il comportamento per il prossimo anno. In una sentenza simile del 2020, infatti, era stato stabilito che la percentuale delle rivalutazioni potesse essere variata dal legislatore, ma per non più di tre anni. Questo potrebbe indurre il Governo a rivedere l’ipotesi di ridurre ulteriormente le perequazioni per le pensioni più alte nel 2025.

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