Pensioni 2022 a 62 anni: per i nati fino al 1960 solo con le quote Inps?

Mario nava
La riforma delle pensioni per il 2022 vede allontanarsi sempre più l’ipotesi 62 anni. Resta solo la proposta Tridico.
pensioni

Quasi a voler giustificare il fatto che si punta all’età pensionabile di 64 anni per il post quota 100, in questa settimana sono stati pubblicati alcuni dati relativi a ciò che è successo in questi ultimi tre anni. Ed è emerso il fatto che quotisti puri, cioè soggetti che nel triennio sperimentale di quota 100, che hanno optato per uscire con la combinazione 62+38, sono una minoranza.

Come dire, pressoché inutile inserire una misura di pensionamento che permette di uscire a 62 anni, se poi i lavoratori scelgono si uscire più tardi. Ed ecco allora che tra le ultime ipotesi di riforma delle pensioni, alle vecchie ipotesi di una flessibilità a 62 anni o di quota 41 per tutti, si pensa ad una uscita a 64 anni e per giunta penalizzata dal calcolo contributivo della pensione.

Resta però ancora in auge la proposta di una pensione flessibile dai 62 anni divisa in due quote, una contributiva ed una retributiva. È la proposta che qualche settimana fa ha avanzato il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Una proposta che ad oggi sembra l’unica ancora in pista per consentire anche nel 2022 ai lavoratori, di uscire a 62 anni come oggi permette quota 100.

Meglio la pensione a 62 anni in due quote di quella a 64 anni

Sostituire quota 100 non è certo facile visto che stiamo parlando di una misura che ha rappresentato un unicum per il sistema previdenziale. Molto contestata e criticata, la quota 100 è stata la prima ed unica misura di pensionamento anticipato nata dopo la riforma Fornero, che ha permesso a qualsiasi categoria di lavoratori, di uscire dal lavoro una volta raggiunti determinati requisiti.

L’unicità della misura sta nel fatto che non sono state inserite particolari limitazioni come per tutte le altre misure previste dal nostro ordinamento. Per esempio, l’Ape sociale riguarda solo particolari categorie, cioè disoccupati, caregivers, invalidi e lavori gravosi, e tutti con sotto requisiti altrettanto particolari.

Perfino la riforma Fornero lasciò in campo deroghe che permettevano di anticipare la pensione, ma sempre a circoscritte platee di lavoratori. Basti pensare allo scivolo usuranti, che ha ancora oggi una platea di beneficiari ancora più particolare e ridotta dell’Ape sociale.

Anche le deroghe Amato sono limitate come perimetro di applicazione, così come opzione donna riguarda solo chi riesce a raggiungere una determinata combinazione anagrafico-contributiva entro un altrettanto determinato periodo.

Quota 100 no, perché chiunque completava per lo meno 62 anni di età e per lo meno 38 anni di contributi, poteva richiedere i benefici dell’anticipo. Dal 2022 questa misura non esisterà più e si pensa a spostare avanti l’uscita a 64 anni di età. E per giunta, si tende a considerare l’ipotesi di imporre il ricalcolo contributivo della prestazione per chi sceglierà l’uscita a questa determinata età.

Che sia quota 102, con la combinazione necessaria fissata a 64+38 o che sia una uscita flessibile a 64 anni di età con almeno 20 anni di contributi, la situazione sembra vertere al peggio, cioè dal 2022 si passerà dai 62 anni di età ai 64 anni come uscita alternativa alla pensione di vecchiaia.

La via tracciata dall’Inps con la pensione in due quote

E allora forse sarebbe meglio dare retta a Pasquale Tridico con la sua pensione a 62 anno con 20 anni di contributi e divisa in due quote. Dal momento che si corre il rischio di andare in pensione 2 anni più tardi rispetto a quota 100 e con assegno più basso per il ricalcolo contributivo che verrebbe imposto come suggerito persino dalla Corte dei Conti, appare migliore l’idea del Presidente dell’Inps.

Si uscirebbe a 62 anni di età, ottenendo una pensione calcolata nell’immediato con il sistema contributivo e quindi più penalizzante, ma sarebbe un calcolo temporaneo. Infatti la pensione, nettamente tagliata dagli effetti del ricalcolo contributivo degli assegni , resterebbe così fino al compimento dei 67 anni di età della pensione di vecchiaia. Poi la stessa pensione verrebbe ricalcolata con l’aggiunta della quota retributiva mancante.

In pratica con questa idea si potrebbe consentire a chi è stanco di lavorare, di uscire dal lavoro accontentandosi di una pensione più bassa per tutti gli anni di anticipo, per poi tornare a percepire la pensione teoricamente spettante una volta raggiunta la vigente età pensionabile della quiescenza di vecchiaia ordinaria.

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