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Pensioni 2026: la manovra alza l’età, taglia le uscite anticipate e promette aumenti simbolici

Pensioni 2026: aumenti minimi, età più alta, stop alle uscite anticipate. Un’analisi critica della manovra che cambia di nuovo il sistema previdenziale.

La Legge di Bilancio 2026 conferma una linea ormai chiara: contenere la spesa previdenziale spingendo in avanti l’età di uscita e tagliando le strade anticipate, lasciando ai pensionati solo una manciata di euro di rivalutazione. Una scelta che il Governo definisce “necessaria”, ma che lascia più di un dubbio sulla tenuta di un sistema che chiede ai lavoratori di restare sempre più a lungo in servizio, mentre gli assegni reali continuano a perdere potere d’acquisto.

Aumenti sì, ma quasi impercettibili

Dal 1° gennaio 2026 gli assegni verranno rivalutati di circa l’1,4-1,5%. Tradotto: per le pensioni minime l’aumento si aggirerà intorno ai tre euro mensili, una cifra che difficilmente può essere definita un miglioramento, soprattutto dopo due anni consecutivi di inflazione sostenuta.
Le maggiorazioni sociali salgono da 8 a 20 euro, ma restano comunque misure marginali e rivolte a platee ristrette. Il divario tra pensionati di fascia bassa e costo reale della vita rimane pressoché invariato.

L’età pensionabile si sposta in avanti

La vera impronta della manovra è l’innalzamento dei requisiti anagrafici. Dal 2027 si salirà a 67 anni e 1 mese; dal 2028 si arriverà a 67 anni e 3 mesi. È l’effetto dell’adeguamento automatico alla speranza di vita, una regola introdotta anni fa ma che torna ad allungare l’uscita proprio mentre si registra un peggioramento delle condizioni lavorative e sanitarie di molte categorie.

Il Governo ribadisce che si tratta di un passaggio obbligato per mantenere sostenibile il sistema. Ma l’aumento interessa una platea ampia, mentre le esenzioni per lavori gravosi o usuranti restano limitate, legate a liste rigide e spesso non aggiornate alla realtà del mercato del lavoro.

Stop alle pensioni anticipate “facili”

La manovra sancisce la fine delle vie d’uscita introdotte negli ultimi tre anni per tamponare il vuoto lasciato dalla mancata riforma strutturale. Quota 103 non viene prorogata; Opzione Donna resta di fatto inaccessibile per la maggior parte delle lavoratrici; l’unica misura che sopravvive è l’Ape Sociale, sempre riservata a categorie fragili e lavoratori usurati.

In altre parole, chi aveva impostato una strategia di pensionamento basata su percorsi anticipati dovrà ricalcolare tutto: l’uscita torna a dipendere quasi interamente dai requisiti standard o da condizioni particolari difficili da dimostrare.

Chi beneficia davvero della manovra

La manovra premia soprattutto chi è già in pensione, ma solo marginalmente; tutela alcune categorie protette; e irrigidisce l’accesso per chi sta terminando la carriera lavorativa.
In sostanza, chi ha oggi tra i 55 e i 62 anni è quello più penalizzato: si trova nel mezzo di un sistema che cambia mentre non c’è una riforma organica e dove ogni anno si aggiusta qualcosa senza una visione complessiva.

Una riforma previdenziale ancora rimandata

Il messaggio politico è chiaro: la riforma promessa da anni slitta ancora e il sistema continua a essere regolato da norme temporanee, proroghe e limature. Nel frattempo, l’età di pensionamento cresce e gli assegni reali diminuiscono.
Il 2026 avrebbe potuto essere l’anno della semplificazione e della chiarezza; si è rivelato invece l’ennesimo capitolo di una gestione prudente e frammentaria, che sposta in avanti i problemi senza risolverli.