L’Italia ha bisogno di una riforma delle pensioni. Una vera. Non l’ennesimo compromesso politico che dura un anno o due, ma una soluzione definitiva, sostenibile per i conti pubblici e giusta per chi lavora.
Il problema è noto: da un lato ci sono milioni di lavoratori che chiedono di poter uscire prima dal lavoro, specie in settori usuranti o dopo carriere lunghe. Dall’altro, ci sono i vincoli di bilancio, sempre più stringenti, e coperture economiche risicate. Come conciliare tutto questo? Una strada c’è. E si chiama sistema contributivo puro.
Riforma previdenziale: pensione calcolata solo su quanto hai versato
L’idea è tanto semplice quanto rivoluzionaria: libertà di uscita, ma senza integrazioni o regali. Ognuno può andare in pensione a qualsiasi età, anche a 60 o 62 anni, ma solo con la pensione che si è costruito nel tempo. Nessun vincolo di età, nessuna soglia minima da raggiungere, nessun assegno integrato dallo Stato. Solo quanto effettivamente maturato.
Chi ha versato di più, prende di più. Chi ha versato poco, prende poco. È un sistema equo, trasparente e soprattutto sostenibile, perché lo Stato non aggiunge nulla di tasca propria.
Una delle misure più costose per lo Stato oggi è l’integrazione al minimo: chi ha pensioni molto basse riceve un “aiutino” per arrivare a una soglia dignitosa. Ma è proprio questo meccanismo che crea distorsioni e carichi economici difficili da sostenere.
Con il sistema contributivo puro, l’integrazione al minimo sparirebbe, ma a fronte di un vantaggio: libertà totale di decidere quando smettere di lavorare. Basta sapere che la pensione sarà solo quella maturata, senza aspettarsi altro.
Una riforma sostenibile, una volta per tutte
Negli ultimi vent’anni si sono succedute “Quote”, “Opzioni donna”, “Ape sociale”, “Flex” e altre formule temporanee, ognuna con regole diverse, finestre mobili, requisiti in continua evoluzione. Il risultato? Caos normativo e sfiducia.
Con il contributivo puro, invece, si fisserebbero regole chiare e stabili: chi vuole uscire prima, lo fa, senza pesare sui conti pubblici. Chi sceglie di lavorare più a lungo, costruisce una pensione più solida.
Se davvero vogliamo una riforma “una volta per tutte”, dobbiamo smettere di cercare soluzioni ibride che cercano di accontentare tutti senza scontentare nessuno. Serve coraggio politico, ma anche realismo: con il sistema contributivo, la sostenibilità è automatica.
È il momento di fare una scelta chiara: libertà in cambio di responsabilità. Nessuna penalizzazione, nessun vincolo, nessuna bugia. Solo ciò che si è versato. E finalmente, una riforma vera.
Cosa si rischia con una riforma pensioni del genere?
Una riforma interamente contributiva, seppur sostenibile e flessibile, non è priva di rischi sociali. Il principale riguarda chi ha avuto carriere discontinue, precarie o con salari bassi: questi lavoratori, pur avendo lavorato una vita, rischierebbero di percepire assegni pensionistici molto modesti, insufficienti a garantire una vecchiaia dignitosa.
Senza l’integrazione al minimo, lo Stato non interverrebbe più a “correggere” questi squilibri, lasciando migliaia di pensionati sotto la soglia di povertà, soprattutto donne, lavoratori part-time, autonomi e giovani entrati tardi nel mercato del lavoro.
Inoltre, la libertà di uscita anticipata potrebbe spingere alcuni a ritirarsi troppo presto, sottovalutando l’effetto sui propri futuri redditi, ritrovandosi con pensioni troppo basse da sostenere a lungo termine.
Per questi motivi, una riforma definitiva dovrebbe sì puntare sul contributivo puro, ma affiancarlo con misure di tutela selettiva, per evitare nuove disuguaglianze e garantire un minimo di protezione sociale ai più fragili.