Il lavoro domestico in base alle statistiche è quello dove è più alta l’incidenza del lavoro nero. Il 60% degli addetti non ha un regolare contratto e la percentuale sale se si estende a contratti che pur se esistenti, non sono propriamente a norma (lavoro grigio).
Dei circa 1,2 milioni di lavoratori domestici in nero (su un totale di circa 2 milioni tra badanti, colf, baby sitter e così via), l’80% è straniero, nella stragrande maggioranza dei casi proveniente da Paesi balcanici e paesi sudamericani.
Un lavoratore viene tenuto in nero da un datore di lavoro, perché così si risparmia sui costi del lavoro. Ma un lavoratore in nero è pericoloso perché espone il datore di lavoro a sanzioni e multe oltre che risarcire di fatto il lavoratore.
Infatti il lavoratore domestico in nero non è vero che non ha diritti, perché la legge lo tutela alla stregua di tutti gli altri lavoratori. Occorre però che lo stesso lavoratore faccia emergere l’illecita condotta del datore di lavoro.
Lavoro nero, perché?
Il lavoro nero permette al datore di lavoro di non versare in primo luogo i contributi previdenziali. Il lavoro in nero permette anche al datore di lavoro di erogare uno stipendio non in linea con il CCNL di categoria. Ma le conseguenze per il datore di lavoro possono essere piuttosto gravi una volta che emerge questa pratica. Si va da ammende e sanzioni, che sono le conseguenze amministrative tipiche, a guai giudiziari di rilevante misura.
Ed è proprio una volta citati in giudizio che i datori di lavoro, se soccombono in Tribunale, saranno costretti all’esborso maggiore. Infatti una lavoratrice in nero può arrivare a chiedere al datore di lavoro tutto ciò di cui non hanno goduto o di cui non vi è traccia data la natura sommersa del lavoro.
Cosa può recuperare una lavoratrice in nero
Le lavoratrici in nero possono chiedere tutti i diritti che secondo loro non sono stati goduti, dalle ferie ai permessi, dai riposi allo stipendio e alla buonuscita. La parte dello stipendio è importante dal momento che spesso i datori di lavoro che hanno un lavoratore in nero, lo pagano in contanti e senza alcuna ricevuta.
Emettere ricevuta nella mente di qualche datore di lavoro, con un lavoratore in nero, può sembrare pericoloso dal momento che si lascia traccia di un lavoro illegale. Ecco spiegato perché molti non usano pagare la badante piuttosto che la colf con ricevuta. Ma non rilasciare un pezzo di carta, anche se semplice come una ricevuta generica, può esporre il datore di lavoro alla richiesta di stipendi arretrati dalla lavoratrice, anche se quest’ultima è stata retribuita normalmente.
Andare a quantificare le ore di lavoro effettive di una badante che lavora in nero ma in regime di convivenza diventa pressoché impossibile per il datore di lavoro. Ed è così che in un Tribunale il datore di lavoro diventa inevitabilmente la parte debole, spesso condannato a risarcire tutto alla lavoratrice.
Tutti i diritti evidentemente negati al lavoratore, vanno lo stesso liquidati anche se si adotta il lavoro in nero. E la badante o la colf hanno addirittura 5 anni di tempo per chiedere ciò che vogliono, anche se il rapporto di lavoro nel frattempo è cessato o se è deceduto l’anziano a cui si prestava assistenza nel caso delle badanti. E alla badante, oltre alle ore di lavoro straordinario o notturno (sta al datore di lavoro dimostrare che la badante stava in casa a dormire di notte piuttosto che accudire l’anziano), alle ferie non godute, ai permessi e agli eventuali stipendi arretrati (anche solo la differenza tra erogato e minimo CCNL), spetta pure la liquidazione. Ed il TFR come si sa matura mese per mese ed è pari a circa un mese di retribuzione per anno pieno di lavoro.