Bonus per restare al lavoro dal 10 al 33%: che fine fanno i contributi?

Luca
Il Bonus per restare al lavoro presenta qualche lato oscuro e non si capisce che fine facciano i contributi restanti se al dipendente spetta solo il 10%.
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Abbiamo già parlato del Bonus del 10% in più sullo stipendio per incentivare chi ha raggiunto la quota 103 a restare al lavoro. Ma quello che appare scritto sulla bozza della Manovra fa sorgere qualche dubbio in proposito. Perchè si potrebbe intendere che il Bonus non sia del 10% ma del 33%. Ed in questo caso si farebbe interessante soprattutto per i redditi più ati.

Pur comportando una perdita molto grave per la pensione, infatti, avere il 33% in più in busta paga per 5 anni potrebbe valere la pena di avere una pensione ridotta per tutta la vita. Ma cerchiamo di capire cosa sta accadendo e se il Bonus per restare al lavoro dal 10 al 33% è stato ben interpretato.

Incentivo per restare

Se il Bonus fosse del 33% al lordo, come scrive SkyTG24, potrebbe portare per redditi di circa 10.000 euro mensili, 225 euro in più al mes, ovvero circa 3.000 euro l’anno. Per redditi più alti si potrebbe arrivare anche a 700 euro al mese (ed in questo caso il guadagno annuo sarebbe di circa 9mila euro lordi al mese).

Ma fino ad ora da Palazzo Chigi si è sempre parlato di Bonus 10%. Mentre nel testo della bozza della Legge di Bilancio si legge che chi raggiunge i requisiti per accedere alla quota 103 può rimanere al lavoro accedendo a questo Bonus 10% e rinunciando all’accredito dei contributi  e che “Se la esercitano viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro”.

In teoria, quindi, se il datore di lavoro non versa più alcun contributo per quel dipendente, risparmia il 33% e non solo il 10% promesso di Bonus (infatti, fino ad ora si era parlato solo della quota versata dal lavoratore all’ente previdenziale e non di quella versata anche dal datore di lavoro).

Bonus per restare al lavoro dal 10 al 33%: che fine fanno i contributi?

Ma se dall’esecutivo affermano che il Bonus è solo del 10%, che il dipendente congela la sua pensione al momento della scelta e che il datore di lavoro non versa più altra contribuzione per gli anni che lo separano dalla pensione di vecchiaia i conti non tornano.

Anche perchè la norma nella Legge di Bilancio dice altro. Ma allora che fine fa quel 23,8% di contributi non versati che non finirebbe nelle tasche dei lavoratori? A meno che non si tratti di un bonus a favore del datore di lavoro per sgravarlo del costo del lavoro, il Bonus incentivante dovrebbe essere del 33%.

Nessun contributo è più dovuto

La norma a tal riguardo è chiara: il lavoratore che raggiunge quota 103 e decide di accedere al Bonus incentivante congela la pensione. A quel momento preciso, quello in cui sceglie il Bonus e la pensione è calcolata come se vi accedesse alla prima finestra utile per uscire con la quota 103. E da quel momento in poi non matura altri contributi.

Quindi, in ogni caso, sia che il Bonus sia del 10% sia che l’incentivo raggiunga davvero il 33%,  il datore di lavoro non verserà più alcun contributo per quel dipendente. Che, tra l’altro, nel periodo in cui fruisce del Bonus non avrà neanche diritto alla rivalutazione dell’assegno della pensione annuale.

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