La pensione a 61 anni subito e la flessibilità da 20 a 36 anni di contributi

Mario nava
pensione

Nuove misure di pensione sono in arrivo e sono anche molto attese dai lavoratori. Andare in pensione potrebbe diventare più facile. Anzi, per i lavoratori l’andare più facilmente in quiescenza dovrebbe essere una certezza. Soprattutto perché non c’è Paese Occidentale dove un sistema basato sui contributi versati dai lavoratori, non preveda misure di pensionamento flessibile. Anche se è vero che le casse dell’INPS sono scarne e la spesa previdenziale è sempre più insostenibile (anche perché nei conti INPS dentro ci mettono pure le spese assistenziali), la flessibilità lascia libero arbitrio ai lavoratori. Devono essere loro a poter scegliere quando lasciare il lavoro, a costo di rimetterci, come è naturale, una parte dell’assegno pensionistico. E così la pensione a 61 anni subito e la flessibilità da 20 a 36 anni di contributi dovrebbe essere la soluzione a tutti i mali del sistema, almeno dal punto di vista dei lavoratori.

La pensione a 61 anni subito e la flessibilità da 20 a 36 anni di contributi dal 2023 potrebbe davvero cambiare tutto

Oggi le regole del sistema previdenziale appaiono piuttosto ingessate. Per andare in pensione senza limiti di età servono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini ed un anno in meno per le donne. Anche qualche mese in meno di contributi, magari per chi ha perso il lavoro, esclude la possibilità di pensionamento. E se un lavoratore si trova a 63/64 anni in queste condizioni, senza lavoro e senza pensione, deve attendere i 67 anni di età. A maggior ragione se si pensa che servono 35 anni di contribuiti effettivi, e quindi senza considerare i contributi figurativi da Naspi o malattia. In pratica, un lavoratore che perde il lavoro dopo 42 anni di servizio, per il solo fatto di non arrivare a 42 anni e 10 mesi di contribuzione non può andare in pensione se non arriva a 67 anni. E magari se gli ultimi 10 mesi servono pure per completare i 35 anni effettivi, non può utilizzare la Naspi per riempire la carriera.

La pensione di vecchiaia non sempre è fruibile

Lo stesso discorsosi può fare per la pensione di vecchiaia dove ai 67 anni bisogna per forza di cose aggiungere 20 anni di contributi. E non un mese in meno se non si vuole rimanere senza pensione. A poco serve la possibilità di svoltare verso l’assegno sociale a 67 anni, perché questa misura è assistenziale e basata sui redditi del diretto interessato. E si rischia di lasciare silenti molti anni di contributi per il solo fatto di non raggiungere la soglia minima dei 20 anni. Anzi, per i contributivi puri, cioè per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, serve pure che l’assegno pagato sia pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Altrimenti la pensione slitta a 71 anni. Parlare di sistema ingessato è tutto tranne che un esercizio azzardato. Ed anche le pensioni in deroga, dall’APE sociale ad opzione donna, da quota 41 alla quota 102 sono dello stesso genere. Misure piene di vincoli e penalizzazioni a volte. Si passa dal ricalcolo contributivo della prestazione con opzione donna, ad un assegno privo di maggiorazioni, assegni familiari e tredicesima dell’APE sociale.

Le misure che i lavoratori sognano in base alle ultime ipotesi del governo

Per questo occorrono misure vantaggiose e soprattutto flessibili per la pensione. E se davvero l’idea è di varare una misura che da 61 o 62 anni consenta il pensionamento anticipato, si dovrebbe partire da 20 a 35 anni di contributi da versare. In pensione potrebbe andare chi ha completato i 61 anni di età ma anche con solo 20 anni di contributi versati. Tanto a rimetterci è il lavoratore. Per almeno 2 ragioni il lavoratore che sceglie la via dell’uscita a 61 anni con 20 di contributi pagherà pegno sull’assegno pensionistico. Due linee di penalità che sono figlie della flessibilità e cioè:

  • 6 anni in meno di contributi versati se si esce a 61 e non a 67;
  • Coefficienti di trasformazione penalizzanti se si esce a 61 e non a 67.

Combinazioni elastiche per la pensione anticipata

Le combinazioni possibili dovrebbero essere elastiche. Dovrebbero andare da 61 a 66 anni di età, concedendo il libero arbitrio pensionistico al lavoratore, che sarebbe la facoltà di lasciare il lavoro prima dei 67 anni di età in base alle sue aspettative e prerogative di vita. Ma flessibile ed elastica dovrebbe essere anche la carriera. Perché si potrebbe consentire l’uscita a partire dai 20 anni di contributi e fino ai 35 anni. Un ritorno al passato, a quella quota 96 che ancora oggi ha diversi nostalgici. E 61 anni di età e 35 anni di contributi versati da proprio quota 96.

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