Pensione a 62 anni: rispetto ai 67 non conviene, ecco quanto si perde

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La pensione a 62 anni non conviene: ecco quanto si perde, a parità di contributi, sull’assegno previdenziale rispetto ai 67 anni.
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In queste ultime settimane non si fa altro che parlare della scadenza della quota 100 e del fatto che non sarà più possibile accedere al pensionamento a 62 anni se non verrà inserita una nuova misura flessibile. In ogni caso il governo sta pensando ad un modo che permetta ai lavoratori di accedere alla pensione prima anche se appare chiaro che per farlo i lavoratori dovranno accettare una penalizzazione sull’assegno previdenziale spettante.

Ma quello che è da tenere presente è che un pensionamento a 62 anni, rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia, non è conveniente neanche oggi, con la quota 100 che non prevede penalizzazioni perchè, sicuramente la pensione presa a 62 anni è sicuramente più bassa di quella che sarebbe spettata al compimento dei 67 anni.

Pensione a 62 quanto si perde?

Ovvio, si potrà pensare, che andare in pensione a 67 anni comporta un assegno più alto, si continua a versare contirbuti per ulteriori 5 anni. Ma non è solo questo, anche a parità di contributi e smettendo di lavorare a 62 anni, la pensione a 67 anni sarebbe  più alta.

E questo dipende dal sistema contributivo introdotto dalla legge Dini nel 1996. Il sistema contributivo, infatti, prevede una penalizzazione per chi sceglie la pensione anticipata a cui non si da molto peso ma che potrebbe cambiare l’assegno spettante in modo significativo.

La legge Dini, infatti, prevede l’applicazione di coefficienti di trasformazione al montante contributivo che sono tanto più convenienti quanto più alta è l’età di accesso alla pensione: più tardi si va in pensione, quindi, e maggiore sarà la convenienza della trasformazione dei contributi in pensione.

Non si tratta di una vera e propria penalizzazione per chi anticipa ma di un premio per chi ritarda l’accesso alla pensione attendendo i 67 anni.

I coefficienti di trasformazione applicati al montante contributivo che trasformano, di fatto, i contributi versati in pensione, infatti, non crescono in modo costante ma premiano chi ritarda: a 62 anni il coefficiente di trasformazione è del 4,770% ,mentre a 67 anni è del 5,575%.

Qualche esempio in numeri

Supponiamo che un lavoratore abbia iniziato a lavorare nel 2000 e abbia smesso nel 2020 versando 20 anni di contributi. Supponiamo che guadagnando 2500 euro a mese versi annualmente circa 8mila euro di contributi.

In 20 anni ha accumulato 160mila euro di montante contributivo. Se accedesse alla pensione a 62 anni (se questo fosse possibile, visto che con 20 anni di contributi non è permesso accedere a 62 anni, ma l’esempio calza anche per il lavoratore che ha 38 anni di contributi) la pensione annua spettante sarebbe pari a 7632 euro, circa 587 euro al mese.

Se, pur non continuando a lavorare, decidesse di attendere i 67 anni la pensione spettante, sugli stessi contributi, annualmente sarebbe di 8920 euro pari a 686 euro al mese. Praticamente guadagna 100 euro al mese solo aspettando 5 anni per andare in pensione. E se invece continuasse a lavorare per i 5 anni che lo separano dalla pensione di vecchiaia?

Continuando a versare 8mila euro di contributi l’anno il montante contributivo a 67 anni sarebbe di 200mila euro che restituirebbe, applicando il coefficiente di trasformazione di 5,575% darebbe luogo ad una pensione annua di 11150 euro pari a 857 euro al mese.

Andare in pensione a 62 anni, quindi, non conviene economicamente. Noi abbiamo preso come esempio quello di un lavoratore con il minimo contributivo ma provate a pensare quale sarebbe la differenza che provoca l’anticipo per un lavoratore che ha maturato 38, 40 o addirittura 42 anni di contributi…

Vi proponiamo una interessante lettura di come cambia la pensione, a parità di contributi, da 57 ai 71 anni. Rimarrete stupiti.

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