Riforma delle pensioni si parte da un anticipo ridotto per i lavoratori, età 62 o 64

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Riforma delle pensioni

Non ci sono fondi disponibili nemmeno per ridurre le problematiche che la proroga di opzione donna ha creato con la legge di Bilancio e quindi riforma delle pensioni ferma al palo. Tra un rinvio e l’altro, i summit tra governo e sindacati si concludono sempre alla stessa maniera. Si decide sempre di posticipare la trattazione degli argomenti al successivo summit. Le scarse risorse disponibili per lo Stato riducono i margini di manovra del governo. Per questo è possibile che la riforma delle pensioni finisca verso due sole vie. La prima è la proroga della quota 103 e forse dell’Ape sociale. L’altra è quella del mini anticipo. L’unica via nuova percorribile quest’ultima. Unica strada che potrebbe essere sostenibile dal punto di vista della spesa pubblica. Ed allo stesso tempo avvantaggiare i lavoratori che cercano di uscire prima nel mondo del lavoro e con una discreta flessibilità. Ecco perché verrebbe da dire che sulla ipotetica riforma delle pensioni si parte da un anticipo ridotto per i lavoratori, età 62 o 64 anni e poco altro.

Riforma delle pensioni si parte da un anticipo ridotto per i lavoratori, età 62 o 64

Un mini anticipo che non è una vera novità. Infatti altro non è che la riproposizione fedele di una vecchia proposta del presidente dell’INPS Pasquale Tridico. Perché parlare di riforma pensioni e mini anticipo a 62, 63 o 64 anni non può che far tornare alla mente la proposta del numero uno dell’Istituto Previdenziale. Il mini anticipo dovrebbe consentire ai lavoratori di poter andare in pensione con discreto anticipo accettando però nell’immediato un assegno più basso di quello ipotizzato. I base alle risorse a disposizione questo mini anticipo potrebbe partire dai 62 anni di età. Oppure andare oltre e quindi assestarsi sui 63 o addirittura 64 anni di età. AI lavoratore potrebbe uscire dal lavoro una volta raggiunti i vent’anni di contributi versati. Ma accettando la pensione calcolata solo con il metodo contributivo. In pratica la pensione verrebbe liquidata solo per la quota contributiva. Salvo poi a 67 anni recuperare la parte di pensione mancante, cioè la quota retributiva.

Occhio all’assegno sociale e al limite di importo della pensione.

Naturalmente riforma pensioni e mini anticipo a 62, 63 o 64 anni non possono non prevedere requisiti particolari. Questa misura, che in pratica tratta di un accesso alla pensione in due fasi, a prescindere che la scelta ricada sui 62, 63 o 64 anni non fa eccezione. E dovrebbe avere delle limitazioni. Il lavoratore per poter godere di questa uscita anticipata, anche se solo per la quota contributiva, avrà una condizione. Dovrebbe arrivare ad ottenere un assegno pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Questo il vincolo imposto alla misura. Copiando di fatto la pensione anticipata contributiva di oggi. Misura che a 64 anni di età e vent’anni di contributi versati per i contributi puri prevede la pensione solo ad una condizione. Solo se la pensione è più alta o pari ad 1,5 volte l’assegno sociale.

L’alternativa parla di riforma posticipata al 2025

O la pensione spacchettata, o una soluzione tampone, di quelle sempre usate e duramente criticate. Far slittare tutto all’anno venturo, cioè congelare il sistema allo stato attuale, confermando la quota 103 e lasciando forse l’Ape sociale per il 2024. Infatti sembra sempre più probabile lo stallo totale, visto che anche nell’ormai imminente DEF, c’è poco se si parla di pensioni. Se non si riesce ad accettare il passo indietro su opzione donna, nettamente peggiorata oggi rispetto al passato, inutile voli pindarici sulla quota 41 per tutti, sulla flessibilità con combinazione 62+20 e così via dicendo. 

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