Si va in pensione troppo tardi in Italia e con requisiti troppo rigidi. Anzi no, si va in pensione troppo presto rispetto alla media europea nonostante sia ancora in vigore la legge Fornero. Questione di punti di vista, di studi statistici e di chi analizza il quadro della previdenza italiana. Fatto sta che le parti sembrano contrapposte, tra chi auspica interventi previdenziali che consentano di andare in pensione prima e chi invece crede che mandando in pensione prima i lavoratori si rischia di riversare una crisi dell’intero sistema sui giovani.
Riforma pensioni a 62 anni e senza tagli o penalizzazioni
Negli ultimi anni misure come opzione donna o quota 103 sono diventate davvero poco appetibili a tal punto che sono calati drasticamente i contribuenti che hanno scelto di andare a riposo con queste misure. Nel frattempo sono praticamente interrotti i summit tra sindacati e governo in materia previdenziale.
A tal punto che la UIL, uno dei tre sindacati maggiori in Italia chiede la riapertura del tavolo di confronto sul tema delle pensioni. Tutto nasce da uno studio della UIL che ha messo in luce un dato che contrasta con alcuni report usciti nel corso del 2024 e che dicevano forse l’esatto contrario.
Si diceva che l’età media di uscita era troppo bassa in Italia e che addirittura le pensioni erano troppo elevate. Parliamo di dati medi e di raffronto con il resto dei Paesi Ue.
Invece adesso la UIL certifica che per la pensione di vecchiaia, l’età pensionabile italiana è tra le più elevate d’Europa, pari solo a Grecia, Olanda e Danimarca ed è destinata a salire fino a 71 anni nel 2060. Serve un intervento strutturale per abbassarla quindi. Introducendo flessibilità nel sistema.
Le proposta della UIL, flessibilità ma come?
Come si legge su diversi organi di stampa, lo studio da cui parte la richiesta di intervento da parte della UIL al governo nasce incrociando i dati di una analisi del servizio Stato Sociale, Politiche Economiche, Fiscali e Immigrazione della UIL con quelli di uno dei rapporti dell’OCSE sui sistemi previdenziali.
Dall’esito dell’analisi comparata secondo la UIL manca la flessibilità in uscita che insieme al fatto che probabilmente a partire dal 2027 i requisiti per le pensioni cresceranno, compresa l’età pensionabile, distingue l’Italia da altri Stati UE dove sono state introdotte politiche votate proprio alla flessibilità.
Servono misure flessibili quindi, con un occhi di riguardo ai lavori svolti, al genere e ai giovani, cioè le strade che pare stiano prendendo in altri Stati UE. La UIL chiede pertanto un intervento strutturale.
A partire dal riportare opzione donna ai requisiti originari dei 58 anni per le dipendenti e 59 anni per le autonome. E poi una misura di pensionamento flessibile dai 62 anni di età, senza tagli lineari di assegno e senza altre penalizzazioni.