Badanti: il loro male oscuro e quello delle loro famiglie, alcune testimonianze

Mario nava
Molte badanti, soprattutto quelle che provengono dai Paesi dell’Est soffrono di malessere generalizzato dovuto a lavoro e lontananza dai cari.
badanti

Da tempo si mette in risalto la condizione piuttosto delicata a cui sono costrette a sottostare le lavoratrici straniere che in Italia operano come badanti. Addirittura ad una determinata patologia di cui soffrono, viene dato il nome di “sindrome Italia”.

Un male oscuro che attanaglia le lavoratrici che oltre a condizioni di lavoro non propriamente dignitose, hanno a che fare con lontananza dagli affetti, allontanamento dal Paese di origine e dai propri cari, figli in primo luogo.

Molte vivono questo disagio in silenzio, ma non è raro trovare chi si apre e testimonia queste evidenti problematiche. Per esempio, in questi giorni sono state pubblicate dall’Agenzia di stampa “HuffingtonPost” alcune testimonianze di alcune lavoratrici che si sentono vittime di questi problemi che per molte colleghe al rientro in Patria hanno significato ricoveri problemi col sonno, inappetenza e addirittura problemi psichici che le hanno costrette alle cure in strutture specializzate.

E le problematiche come è naturale che sia si riversano anche sulle famiglie, che per questione di lavoro perdono per mese e mesi un punto di riferimento inevitabilmente fondamentale come possono essere le madri.

Abbandonare le famiglie a casa non è certo una cosa facile da digerire

Proprio per dare conferma che si tratta di un grave problema per molte lavoratrici e per molte famiglie, riportiamo alcune testimonianze che sono finite in rete grazie ad HuffingtonPost.

 “La prima volta che sono venuta in Italia sono rimasta solo cinque mesi. Avevo lasciato mia figlia di due anni in Romania. Sono tornata perché stare lontana da lei, per me, era troppo doloroso”, questo ciò che dice una badante romena, cioè di quella comunità di stranieri comunitari di cui l’Italia è piena (sono 1,2 milioni i romeni residenti nel territorio della Penisola).

E statistiche alla mano sono in maggioranza donne questi stranieri che lavorano in Italia, soprattutto nel settore domestico.

 “Sono arrivata in Italia nel 2004 per cercare un lavoro, volevo dare una vita migliore a mia figlia che all’epoca aveva due anni. La prima volta sono stata distante 5 mesi, poi sono rientrata perché non riuscivo a stare senza di lei. Mi sono detta: preferisco la povertà, magari mangiare un uovo, metà io e metà lei, ma la distanza era troppo dolorosa. In 5 mesi l’ho sentita 3/4 volte al telefono. All’inizio mi diceva: quando torni? Quando vieni? Poi deve aver pensato che non tornassi più, perché non mi voleva più parlare”, così si è espressa la lavoratrice che si è sfogata con HuffingtonPost manifestando quelle problematiche che sono piuttosto diffuse in molte colleghe e molte connazionali.

Non sempre le cose vanno bene

La donna dell’intervista ha avuto il coraggio di scegliere la povertà ma solo fino a quando, al compimento dei 4 anni della figlia, è tornata con lei in Italia. Un lieto fine per metà, perché come lei stessa conferma, ha pur sempre lasciato la madre quasi ottantenne a casa, una donna che avrebbe bisogno di assistenza alla stregua di quelle anziane a cui le badanti in Italia danno una mano e conforto.

Ed è anche questo un altro duro colpo da digerire, perché non sono solo i figli lasciati a casa a creare disagi psicologici. Digerire il fatto che si lavora assistendo una anziana della stessa età della madre lasciata a casa è una cosa piuttosto complicata.

Ma se questa testimonianza mette in luce una autentica donna coraggio, forte e capace di resistere, non è così con altre lavoratrici. Un’altra lavoratrice venuta dalla Romania per esempio, n on ha avuto la fortuna o la forza di fare come la precedente.

Venuta in Italia ha lasciato alla madre (la nonna dei figli), i tre bambini che aveva, di cui uno con appena un anno di età. E dopo 13 anni di lavoro in Italia, il risultato è che ha sostenuto la sua famiglia mandando i soldi a casa, ma di fatto ha perduto l’affetto dei suoi stessi figli, ormai grandi che l’accusano di averli abbandonati. E non sono pochi i figli di badanti che restati senza madre, alla lunga si perdono, lasciando gli studi o prendendo strade sbagliate.

In Italia c’è una Associazione per le donne rumene

Solo chi ci è passato può capire queste evidenti problematiche a cui sono soggette queste lavoratrici. In Italia esiste anche l’Associazione Donne Romene in Italia, che è sempre in prima linea per queste e per altre problematiche che possono essere a carico delle straniere. Perché ai problemi di queste lavoratrici si aggiungono anche quelle dei familiari lasciati a casa, per vite familiari che diventano sempre più difficili.

 “I bambini lasciati in Romania pensano di essere stati abbandonati, vedono le madri andare via ed è inutile spiegare loro che sono andate per lavorare, guadagnare, garantire loro una vita migliore. Scoprono un giorno che la madre non c’è e pensano che sia colpa loro”, questo per esempio ciò che dice, sempre ad HuffingtonPost , Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione Donne Romene in Italia.

Problemi seri questi degli infanti lasciati a casa per lavoro, con rientri sporadici e spesso distanti anni gli uni dagli altri. E le conseguenze spesso sono drammatiche e letali perché “in Romania dal 2010 ci sono stati circa 100 suicidi infantili”, questo ciò che mette in luce la Dumitrache.

“Ho raccolto la storia di un bambino che si è tolto la vita nell’illusione che questo gesto potesse far tornare la mamma. Aveva 11 anni. Un giorno parlando con un compagno di banco, gli ha detto: Vedrai che domani farò tornare la mamma. Il giorno seguente si è tolto la vita. E la mamma è tornata, ma per seppellirlo”, così ha continuato la Presidente dell’Associazione.

E sempre da parte dell’Associazione viene messo in  luce il fatto che la necessità di lavorare è alla base di questo problema che riguarda la quasi generalità delle lavoratrici oggi presenti in Italia e che alla fine accettano anche condizioni di lavoro disumane.

Questo infatti è un altro spaccato di ciò a cui sono costrette queste donne.“Non si può lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Non hanno vita privata, non possono socializzare, stanno sempre chiuse in casa, all’inizio sono prese per curare una persona, ma finiscono per  occuparsi di tutta la famiglia. Non tutte le famiglie, poi, fanno contratti di lavoro. Vengono pagate direttamente, prendono i soldi in mano: gesto che poco per volta dà l’impressione che il lavoratore ti appartenga, non lo vedi più come una persona, ma come un’utilità”, questa una autentica accusa mossa dalla Dumitrache al sistema lavoro Italia.

Tra l’altro ciò che mette in luce la rappresentante dell’Associazione è che in Italia per poter votare occorre iscriversi alle liste elettorali 40 giorni prima, e che non è automatica questa iscrizione al momento del rilascio della carta di identità a seguito di iscrizione all’anagrafe del Comune.

Questo produce il fatto che non esistono consiglieri comunali, regionali o parlamentari romeni nelle Amministrazioni Italiane. E le problematiche di vita e di lavoro di queste lavoratrici non sono mai affrontate.

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