Liliana Segre, Io non ho perdonato

martina bianchi
In un lungo discorso Liliana Segre afferma di non ave perdonato i suoi aguzzini.
liliana segre

Liliana Segre presenzia alla Cittadella della Pace di Rondine ad Arezzo ed in una testimonianca per scuole e giovani di tutto il mondo la senatrice a vita afferma di non aver perdonato.

“Un giorno di settembre del 1938 sono diventare l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre la mia amica ebrea. E quel giorno a 8 anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papa e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto”.

La senatrice afferma che, essendo stata clandestina sa cosa vuol dire essere respinti e racconta che nei lager “quando non si ha niente, si ha solo il proprio corpo che dimagrisce a vista d’occhio, è molto difficile, salvo che nei romanzi, formare amicizie perché la paura di morire per un passo falso o un’occhiata, ti fa diventare quello che i tuoi aguzzini vogliono che tu sia: che tu diventi disumana, egoista. Dopo il distacco da mio padre il terrore di diventare amico di qualcuno e poi perderlo mi faceva preferire la solitudine, io aveo paura di perdere ancora qualcosa”.

Il racconto della Segre prosegue catturando quanti la ascoltano “Non ho mai perdonato, come non ho dimenticato, certe cose non sono mai riuscita a perdonarle. Il campo di sterminio funzionava alla perfezione, da anni, non c’era il minimo errore. Cominciammo a capire che dovevamo cominciare a dimenticare il proprio nome, che nella tradizione ebraica ha un significato. Mi venne tatuato un numero sul braccio e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190. E dovemmo subito impararlo in tedesco. Quando entrai ad Auschwitz non avevo ancora studiato Dante, lo studiai dopo, ed eravamo condannate a delle pene ma non c’era il contrappasso: pensavo di essere impazzita. Non racconto mai tutti i dettagli della mia prigionia”.

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