Lavorare dopo la pensione è un qualcosa che le ultime statistiche considerano abbastanza frequente. Come si legge negli ultimi dati ISTAT un pensionato ogni 10 continua a lavorare. I motivi di questa scelta sono soggettivi, ma probabilmente quello più frequente dipende è dipendente dal fatto che molte pensioni sono piuttosto basse come importo a talò punto da non essere sufficienti per poter continuare a vivere dignitosamente. Ma alla luce di alcune nuove misure introdotte negli anni, ci sono pensionati che non possono lavorare. E non perché si trovano in condizioni di salute precarie che sarebbe un motivo assolutamente valido. E nemmeno perché non trovano nuova occupazione. Il motivo nasce dal fatto che sono andati in pensione con misure che non consentono di lavorare. Altrimenti si corrono seri rischi di dover restituire le prestazioni percepite.
Pensionati che lavorano ancora, il 10% lo fa ma per molti pericoloso
Stando a quanto riportano alcuni quotidiani citando i rapporti ISTAT, il 72% circa dei pensionati ha terminato la carriera lavorativa in coincidenza con l’uscita per la pensione, come è ovvio che sia. Poco più del 17% invece è andato in pensione ma da diverso tempo prima della domanda di quiescenza, aveva interrotto l’attività. Il resto invece continua tutt’oggi a lavorare.
Una platea cospicua di oltre 700mila pensionati infatti ha lavorato o continua a farlo anche dopo aver iniziato a percepire la pensione. Ora, a prescindere dal motivo, che sia reddituale, di forza lavorativa, di esigenze familiari e così via dicendo, ci sono pensionati che tornare a lavorare lo vorrebbero anche fare, ma per colpa di alcune normative limitative, non possono farlo.
Le diverse regole delle diverse misure di pensionamento
In generale esistono misure che permettono di andare in pensione solo dichiarando o dimostrando di aver cessato l’attività lavorativa. Alla data della domanda bisogna risultare privi di lavoro. Ma nulla vieta al pensionato di tornare a lavorare dopo aver centrato la pensione. Altre misure, o parti di misure di pensionamento invece, prevedono un particolare effetto per chi torna a lavorare.
Ci sono misure che hanno una parte del trattamento collegato ai redditi. Quindi nel caso in cui l’interessato trova un nuovo lavoro rischia seriamente di perdere quella parte di pensione. Significa che il lavoro trovato con il suo reddito finiscono con il danneggiare la pensione, abbassando l’importo. Infine ci sono misure che invece non consentono proprio di lavorare. Sono per esempio la quota 103 e l’Ape sociale, tanto per citare le misure che oggi prevedono il vincolo.
Ma questo stesso fardello era a carico anche di chi è uscito dal lavoro con le quota 100 o 102. Un vincolo che dura però per tutto l’anticipo, cessando di essere applicato a 67 anni. Significa che a 67 anni uno viene svincolato dall’obbligo di non svolgere alcuna attività lavorativa. Resta il fatto che chi esce dal lavoro con la quota 103 o con l’Ape sociale non può lavorare se non svolgendo lavori autonomi a carattere occasionale. E fino alla soglia massima di 5.000 euro di reddito da queste attività.
Nel momento in cui si torna a lavorare, sia con un normale lavoro autonomo che con un lavoro subordinato, la pensione con quota 103 o con l’Ape sociale viene sospesa, e i ratei incassati nello stesso anno del ritorno a lavorare, vanno restituiti.