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Pensioni: Damiano-Gnecchi e la flessibilità post quota 100

Quando si tratta di parlare di riforma delle pensioni inutile dirlo, Cesare Damiano sta sempre in mezzo. 

E con lui, ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera ed ex Ministro, anche Maria Luisa Gnecchi. I due sono insieme a Pier Paolo Baretta, tutti esponenti Dem e fautori di una famosa e datata proposta di riforma delle pensioni, quella prevista dal Ddl 857.

Adesso che con il nuovo esecutivo Draghi si dovrebbe affrontare il discorso del post quota 100 per il 2022, Cesare Damiano e Maria Luisa Gnecchi hanno riproposto alcuni punti cardine della loro visione della previdenza, pubblicando un eloquente post su Facebook dal profilo ufficiale dell’ex Presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio.

L’idea di Damiano è una Ape sociale potenziata

Anche per Damiano il problema del dopo quota 100 deve essere risolto, e pur se criticando la misura, alcuni aspetti positivi del cavallo di battaglia di Matteo Salvini lo si legge.

Secondo Damiano la quota 100 che si fermerà il 31 dicembre prossimo è una m isura sbagliata, ma da parte sua (ed anche della Gnecchi), non ci sono mai stati pregiudizi.

Infatti è vero che la misura non ha certo cancellato la legge Fornero, è vero che più che una vera pensione a quote è solo una finestra, ma dotava il sistema di una certa flessibilità.

Una finestra perché è nata per durare tre anni e non è strutturale.

Secondo Damiano strutturale dovrebbe diventare l’Ape sociale, magari ritoccandola ampliando la casistica delle attività lavorative considerate gravose.

Infatti secondo Damiano occorre consentire agli edili, tanto per fare un esempio, di uscire prima dal lavoro come l’Ape sociale prevede, ma non con 36 anni di contributi che sono troppi.

Occorre la flessibilità, magari penalizzata

Tra i difetti di quota 100 anche l’elevato numero di anni di contribuzione necessari. Troppi 38, soprattutto per determinate categorie di lavoratori, come le donne del settore privato che come dimostrano le statistiche, sono state letteralmente tagliate fuori dalla misura che è diventata appannaggio esclusivamente di lavoratori statali e lavoratori di sesso maschile con carriere lunghe e continue.

Nel sistema oltre all’Ape sociale bisognerebbe, secondo Damiano, trovare il modo di garantire una uscita flessibile magari alla stessa età prevista dall’Anticipo pensionistico sociale, cioè a 63 anni.

Anche a costo di prevedere penalizzazioni di assegno. Magari con il 2 o 3% per anno di anticipo come anche il loro Ddl 857 prevedeva.