In Francia, quando il governo alza l’età pensionabile di qualche mese, milioni di persone scendono in piazza, bloccano le strade, scioperano per giorni. In Germania, se un lavoratore ritiene che i salari siano ingiusti, le proteste si organizzano in modo capillare. In Spagna, basta un taglio ai fondi per l’istruzione che le piazze si riempiono. E in Italia? In Italia si protesta… per il calcio.
Italiani “pecoroni”? Una provocazione che suona vera
È brutale da dire, ma sempre più spesso ci si chiede: perché gli italiani sembrano sopportare tutto senza reagire? Le tasse aumentano, le pensioni calano in termini reali, gli stipendi sono fermi da 20 anni, l’inflazione divora il potere d’acquisto, eppure il popolo tace. Nessuna manifestazione di massa, nessuno sciopero generale di lunga durata. Un rassegnato silenzio che si traduce in un immobilismo collettivo.
Eppure, basta che un arbitro fischi un rigore dubbio, e si scatena l’inferno. Social pieni di indignazione, discussioni infuocate nei bar, striscioni, cori, minacce. Se una squadra perde una partita importante, si sfiora la rivolta. Ma quando arriva una manovra finanziaria che toglie soldi alle famiglie, non succede nulla.
Tasse e tagli? “È così, che ci vuoi fare?”
La narrazione è sempre la stessa: “Tanto non cambia nulla”, “Non serve protestare”, “Sono tutti uguali”. È una mentalità che affonda le radici in una cultura della rassegnazione. Eppure, in altri Paesi europei, i cittadini sanno che protestare serve eccome: non sempre si ottiene tutto, ma il potere si accorge che qualcuno sta guardando, sta reagendo, e soprattutto non è disposto a ingoiare tutto senza fiatare.
In Italia, invece, l’indignazione selettiva si accende solo per ciò che è simbolico crea una forma di appartenenza e di identità, come il calcio. Uno sfogo che serve forse a compensare la frustrazione generale, ma che lascia tutto il resto, stipendi da fame, precariato cronico, sanità in affanno, in secondo piano.Il calcio è valvola di sfogo, ma anche una distrazione dalla realtà per popolo italiano. Non è solo sport: è identità, emozione, rituale. Ma è anche, spesso, una distrazione perfetta. Un Paese che discute per ore su chi convocare agli Europei, ma non su chi siede nelle commissioni che decidono la Legge di Bilancio.
E così, mentre il tifo infiamma cuori e cervelli, le decisioni che cambiano davvero la vita passano nel silenzio generale. E chi governa lo sa: un popolo distratto è più facile da gestire.
Serve una sveglia collettiva
Forse è il momento di tornare a essere cittadini, non solo tifosi. Non si tratta di scendere in piazza ogni giorno, ma di riprendersi il diritto a indignarsi per ciò che conta davvero: la qualità della vita, il lavoro, la dignità. Anche perché, se non lo facciamo noi, non lo farà nessun altro.
Perché è vero: il calcio è importante. Ma la tua pensione, il tuo stipendio e il futuro dei tuoi figli lo sono molto di più.