Chi ha preso uno stipendio alto va in pensione 3 anni prima, ecco il meccanismo Chi ha preso uno stipendio alto va in pensione 3 anni prima, ecco il meccanismo

In pensione 3 mesi più tardi, il meccanismo che non si può fermare

L’età pensionabile ricomincia a crescere e prevede 3 mesi in più ogni biennio. Perché questo meccanismo è necessario?

In pensione 3 mesi più tardi, perché ricominciano gli scatti per adeguare l’età pensionabile all’aspettativa di vita. A partire dal 2027 è previsto il prossimo aumento dell’età pensionabile che porterà i requisiti di accesso alla pensione a salire di 3 mesi. Ma non finisce qui: uno stesso scatto, sempre di 3 mesi, è previsto una volta ogni due anni.

Dopo due scatti saltati, quello del 2021 e quello del 2023, anno in cui l’aspettativa di vita non porta nessun aumento, anche nel 2025 non ci sarà l’aumento dell’età pensionabile. Per assistere al prossimo, dopo la pandemia di Covid che ha rallentato la crescita dell’età nella popolazione, si dovrà attendere il 1° gennaio 2027, quando per la pensione di vecchiaia saranno necessari 67 anni e 3 mesi.

Non finisce qui, di quanto si aumenterà ancora?

Lo scatto successivo si avrà nel 2029, poi un altro nel 2031 e così via, biennio dopo biennio fino ad arrivare al 2051, quando per accedere alla pensione di vecchiaia saranno necessari 69 anni e 6 mesi.

Le stime in questione tengono conto dell’aspettativa di vita della popolazione di 65 anni e sono diverse da quelle che aveva stimato la Ragioneria Generale dello Stato: la previsione, calcolata sull’aspettativa di vita media che prevedeva il primo adeguamento doveva arrivare 2029  e doveva essere solo di un mese.

Il sistema previdenziale, in base a quello che sostiene l’Istat, non può proseguire sulla via che sta percorrendo, ma deve rimodulata su queste aspettative tenendo conto anche del calo demografico e della riduzione della popolazione attiva, oltre che dell’aumento dell’aspettativa di vita.

Il problema del rapporto tra lavoratori e pensionati

Il problema principale del sistema previdenziale è dato dal calo della popolazione attiva: anche se i dati sono in lieve miglioramento negli ultimi 10 anni, si tratta di una delle situazioni peggiori in Europa. Fra il 2013 e il 2023 la popolazione tra 15 e 6 4anni si è ridotta di 1,8 milioni (da 38,9 a 37,1 milioni). Le fasce di età maggiormente interessate dal calo sono quelle tra 15 e 34 anni e tra 35 e 49 anni.

Il Piano strutturale di Bilancio del Governo pone l’accento sulla situazione che porterà a una diminuzione della forza lavoro e a un aumento dei pensionati. Proprio per questo si sta intervenendo con misure per la famiglia per incentivare nuove nascite. E allo stesso modo si sta intervenendo poco sulla riforma pensioni. Si pensa di farla ma senza fretta e senza scadenze temporali.

Il problema principale è data dal sistema previdenziale italiano che è mutualistico. Questo cosa significa? Un lavoratore versa contributi ma questi non vengono accantonati per la sua pensione. Con i soldi che entrano all’Inps dei contributi versati da chi lavora oggi, infatti, l’istituto paga le pensioni in essere, mese dopo mese. Il lavoratore versa contributi, quindi, per pagare la pensione a chi la prende. Ma cosa succede quando non ci saranno abbastanza lavoratori per pagare tutte le pensioni in essere? E questo succederà quando il numero dei pensionati supererà quello della popolazione attiva (o quando l’importo delle pensioni sarà più alto del totale dei contributi che i lavoratori versano).