Immagina di ricevere ogni mese 1.200 euro, senza dover lavorare, senza dover firmare un patto d’impegno o partecipare a corsi obbligatori. Solo tu, la tua libertà e una somma garantita per vivere dignitosamente. Non è fantascienza, ma una misura concreta che l’Italia potrebbe testare a partire da maggio 2025. E se l’esperimento dovesse funzionare, potrebbe cambiare per sempre il nostro modo di pensare al lavoro, al reddito e alla dignità sociale.
L’esperimento del reddito di base
In un’epoca segnata da instabilità economica, salari fermi e precarietà diffusa, l’idea di un reddito di base incondizionato torna con forza nel dibattito pubblico. Non è la prima volta: in altri Paesi, come la Germania, simili progetti hanno già preso forma. Qui, un’associazione no profit ha distribuito un reddito mensile a un gruppo di cittadini, senza chiedere nulla in cambio. I risultati? Tutt’altro che deludenti: si è registrato un miglioramento del benessere psicologico, maggiore partecipazione sociale e, contrariamente ai timori, nessun boom di pigrizia.
In Italia, la nuova proposta si distingue nettamente da quello che è stato il reddito di cittadinanza. Non è un sussidio per cercare lavoro, ma un vero e proprio esperimento sociale. La misura prevede l’erogazione di 1.200 euro al mese a una platea selezionata di cittadini che versano in difficoltà economica o disoccupazione di lungo periodo. La vera novità? Non è richiesto alcun obbligo lavorativo o di attivazione. Si tratta di un sostegno garantito, pensato per offrire stabilità, autonomia e la possibilità di ripensare la propria vita senza l’ansia costante di dover “dimostrare” qualcosa.
Naturalmente, il progetto ha già acceso discussioni e critiche. C’è chi teme che possa disincentivare il lavoro, chi lo vede come una misura insostenibile nel lungo periodo, chi solleva dubbi sulla selezione dei beneficiari. Ma a queste preoccupazioni si contrappongono dati ed esperienze che suggeriscono l’opposto: garantire un reddito di base può spingere le persone a cercare lavori migliori, avviare un’attività, tornare a studiare o dedicarsi al volontariato. In altre parole, può liberare energie e talenti spesso soffocati dall’incertezza quotidiana.
La sperimentazione anche in Italia?
Questo approccio si colloca all’interno di una riflessione più ampia: in un mondo dove l’automazione sostituisce sempre più mansioni umane e le disuguaglianze si allargano, ha ancora senso legare la sopravvivenza al posto di lavoro? Oppure è il momento di pensare a un nuovo patto sociale, dove lo Stato garantisce un livello minimo di sicurezza economica a tutti, lasciando ai cittadini la libertà di scegliere come vivere, lavorare e contribuire alla comunità?
Il reddito di base a 1.200 euro al mese, per ora, è solo un test. Ma è anche un segnale forte: l’Italia è pronta a ripensare le proprie politiche sociali, mettendo al centro la persona e non solo la produttività. E se questa misura si dimostrerà efficace, potrebbe aprire la strada a un modello più equo, moderno e umano di welfare.