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Referendum 8 e 9 giugno, cittadinanza al bivio. Il quesito 5 spiegato bene

Cittadinanza dopo 5 anni? Il referendum dell’8 e 9 giugno può cambiare tutto: ecco cosa dice oggi la legge e cosa succede se vince il Sì.

L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a votare su cinque referendum abrogativi promossi dalla CGIL. Quattro di questi toccano il tema del lavoro, mentre il quinto si concentra su un tema che divide l’opinione pubblica da anni: la cittadinanza agli stranieri residenti in Italia. Si tratta di un’occasione storica per intervenire su una legge che molti ritengono ormai obsoleta.

Vediamo in sintesi quali sono i quesiti referendari e, più in dettaglio, cosa prevede il quesito 5 e quali sarebbero le implicazioni in caso di vittoria del Sì.

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Cosa prevedono i 5 quesiti referendari

I referendum riguardano:

  • licenziamento illegittimo e reintegro: si punta a eliminare le norme del Jobs Act che impediscono il reintegro automatico nel posto di lavoro;
  • indennizzo per licenziamenti nelle piccole imprese: si vuole cancellare il tetto massimo di indennizzo nelle aziende sotto i 15 dipendenti;
  • contratti a termine: si propone di abrogare le norme che facilitano il rinnovo dei contratti senza causale;
  • responsabilità negli appalti: il quesito mira a rendere più estesa la responsabilità solidale delle imprese committenti;
  • cittadinanza: si propone di dimezzare da 10 a 5 anni il tempo minimo di residenza per ottenere la cittadinanza.

Il quesito 5 sulla cittadinanza al referendum dell’8 e 9 giugno

Attualmente, la Legge n. 91/1992 prevede che uno straniero possa chiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza legale ininterrotta nel nostro Paese. Questo limite è uno dei più severi in Europa, dove molti Paesi richiedono periodi inferiori.

Il quesito n.5 propone di abrogare l’espressione “dieci anni” dall’art. 9 della legge attuale. In pratica, se vince il , si tornerebbe all’interpretazione originaria che prevedeva 5 anni di residenza come periodo sufficiente per chiedere la cittadinanza (come era stato previsto dal Testo Unico n. 571/1912 prima della riforma del ’92).

Se invece prevale il No, la normativa resterà invariata e continuerà a richiedere dieci anni di permanenza, rendendo più lunga e difficile l’integrazione per chi vive e lavora da tempo in Italia.

Come cambierebbe la legge con la cittadinanza dopo 5 anni

Se il referendum avrà esito positivo, i cittadini stranieri non comunitari che risiedono legalmente in Italia da almeno 5 anni potranno fare richiesta di cittadinanza. Si tratta di una misura che avrebbe un impatto diretto su:

  • chi ha regolare permesso di soggiorno e risiede stabilmente;
  • giovani cresciuti in Italia da famiglie immigrate;
  • lavoratori e famiglie straniere che contribuiscono da anni al tessuto economico e sociale del Paese.

Una riforma di questo tipo accelererebbe notevolmente l’iter di integrazione, riducendo ostacoli burocratici e permettendo una partecipazione civica più ampia. Secondo alcuni studi, sarebbero oltre 800.000 le persone potenzialmente interessate da questa modifica nei prossimi anni.

Va però ricordato che il referendum è abrogativo, quindi l’eventuale approvazione del quesito non introdurrebbe automaticamente una nuova legge, ma cancellerebbe il requisito dei 10 anni, lasciando un vuoto normativo da colmare con un intervento del legislatore.

Il referendum dell’8 e 9 giugno è abrogativo, cioè non serve a introdurre una nuova legge, ma solo a cancellare (abrogare) una norma già esistente. Nel caso specifico del quesito n. 5, si chiede agli italiani se vogliono eliminare il requisito dei 10 anni di permanenza in Italia per lo straniero che richiede la cittadinanza, nel caso sia nato in Italia da genitori stranieri e vi abbia vissuto stabilmente, ma al tempo stesso non integra la legge con il nuovo requisito di 5 anni.

Perché un referendum abrogativo non può riscrivere una legge, può solo togliere qualcosa. Se il quesito viene approvato, la norma dei 10 anni sparisce, ma non ci sarà immediatamente un nuovo criterio per regolare la cittadinanza. Ci sarà quindi un vuoto normativo, cioè un punto scoperto nella legge, che dovrà essere colmato dal Parlamento con una nuova norma.

Finché il legislatore non interviene:

  • il rischio è che si crei confusione giuridica su cosa debba fare chi richiede la cittadinanza;
  • potrebbero esserci interpretazioni diverse da parte delle amministrazioni pubbliche;
  • si aprirebbero spazi di incertezza anche nei tribunali.

In sintesi, votare SÌ non significa che la cittadinanza verrà concessa dopo 5 anni, ma solo che il limite dei 10 viene tolto. Sarà poi compito del Parlamento decidere se e come sostituirlo (con 5 anni o altro).